«Siate pronti a rendere ragione della speranza che è in voi» (S.Pietro, 1,3)
«Le cose nascono dove Dio vuole e chi arriccia il naso perché qualcosa non è nato da lui, o vicino a lui, o in casa sua, ecco, è un fariseo.» (L.Giussani – La verità nasce dalla carne)
«207. Che ci ordina l’ottavo comandamento?
L’ottavo comandamento ci ordina di dire a tempo e luogo la verità, e d’interpretare in bene, possibilmente, le azioni del prossimo.» (Catechismo di S.Pio X)
Non stiamo parlando di dialogo come condizione per avere una certezza sul senso della vita (sull’essenziale), ma come condizione per raggiungere un assetto accettabile di convivenza civile (dialogo quindi sul non-essenziale, sul livello naturale, e non su quello soprannaturale).
Dialogo: non si tratta di dare ragione, ma di dare ragioni. L’obiettivo cioè non è un irenistico e relativistico acquietamento compromissorio, sulla base di equivoci e confusioni, ma, come dice Habermas, è l’intesa, sulla base di una ricercata, e il più possibile conseguita, chiarezza argomentativa. Essendo tutti dotati di ragione, non possiamo fermarci finché non saremo (ragionevolmente) convinti di avere raggiunto la verità. L’intesa cioè non è a tutti i costi, non è al prezzo di sacrificare ciò che ci convince, ma al prezzo di sacrificare, semmai, il nostro orgoglio, che può ostacolare nel riconoscimento di quella parte di verità che è nell’altro, e il cui riconoscimento implicherebbe che noi non detenevamo tutta la verità.
Il dialogo presuppone a) che l’altro non sia in malafede, b) che io possa non possedere tutta la verità, c) che l’altro possa avere almeno una parte di buone ragioni, di verità, che io non ved(ev)o.
Così il dialogo ecumenico presuppone che il cattolicesimo (moderno) non possieda la perfetta totalità della identità cristiana, e che le altre confessioni non siano puri e semplici errori, ma possano cogliere certi aspetti del cristianesimo anche meglio del cattolicesimo (moderno, tridentino).
Certo, ragionando possiamo, pur avendo diverse visioni-del-mondo, convenire (il più possibile) sui valori portanti dell’assetto naturale, politico, della società (pluralista), in cui viviamo e quindi rimuovere (il più possibile) eventuali cause di guerre civili.
Quello che invece non possiamo sperare di raggiungere, ragionando dialogicamente, è convincere i non credenti della verità della fede (soprannaturale), che è un dono, incommensurabile alla ragione. Ma la nostra buona disposizione al dialogo è parte della nostra testimonianza di fede, e non potrà non colpire positivamente il nostro interlocutore, contribuendo a fargli sorgere delle domande.
E’ vero che Gesù non dialogava (=non cercava preventivamente l’accordo con altri), ma annunciava. E noi, come Lui, possiamo essere certi dell’essenziale. Ma una qualche forma di dialogo c’era anche in Gesù: quando ad esempio sua madre, alle nozze di Cana, riesce a fargli cambiare idea; è un esempio di dialogo, uno alle fine è diverso da come era all’inizio, le parole hanno prodotto un cambiamento: c’è stato dialogo. O così quando la cananea Gli chiede il miracolo: Gesù all’inizio non vorrebbe farlo, ma in seguito alle parole della donna, lo fa; c’è un cambiamento, conseguenza di un dialogo. Ma anche nell’Antico Testamento Dio sarebbe disposto a cambiare idea sulla distruzione di Sodoma, dialogando con Abramo: non ha deciso tutto in partenza, ma si muove in rapporto a come l’uomo si muove.
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